giovedì 17 aprile 2008

CATASTROFE ELETTORALE PER SINISTRA ARCOBALENO

Vittoria netta del Popolo della Libertà e della Lega Nord, si afferma il Partito
Democratico insieme al suo alleato dell' Italia dei Valori, catastrofe
elettorale per la Sinistra Arcobaleno. La rimonta del PD non c'è stata e la
Sinistra Arcobaleno resta fuori dal Parlamento.

Penso si possa riassumere in questo modo il risultato delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008: i prossimi cinque anni governerà di nuovo in Italia Silvio Berlusconi ed il centrodestra.Avevo accettato una candidatura difficile in Veneto per la Sinistra l'Arcobaleno e in queste settimane di campagna elettorale mi era chiara la grande difficoltà a farci ascoltare ed a chiedere il voto per questa nuova alleanza elettorale e politica.Dai nostri esponenti locali dei Verdi (e non solo), da Associazioni, Comitati e numerosi cittadini e cittadine che ci avevano votato nel 2006, mi sentivo rispondere in due soli modi: ˝ci avete deluso con la vostra esperienza con il Governo Prodi˝, ˝il vostro non è un voto utile per battere le destre˝. In Veneto, come poi è stato confermato dai risultati, la Lega andava fortissimo e tutta la campagna è stata contro gli immigranti, contro la casta, Roma ladrona, per il federalismo, sui problemi veri di salari e pensioni minime che non bastano più alle famiglie ed agli anziani.E nonostante vi sia una cementificazione dilagante nel territorio veneto e decine di progetti ed infrastrutture devastanti proposti dal presidente della Regione Galan (in genere con il consenso del PD e di Antonio Di Pietro) non siamo riusciti ad imporre nessun tema ambientale. Così come quando abbiamo affrontato la piaga della precarietà nel lavoro di oggi, non siamo riusciti ad intercettare quel mondo di giovani e non solo che chiedono maggiori diritti ed un percorso di stabilizzazione professionale. Eppure con gli altri candidati Paolo Ferrero e Nicola Tranfaglia, ci siamo spesi molto per spiegare il senso di questa proposta, più un voto per il futuro, che un giudizio sul passato. Pensavo e speravo che fosse il Veneto ad essere un luogo particolarmente difficile, dove l'aria di destra si respirava al bar, nelle stazioni e sui tanti treni che ho utilizzato per muovermi in campagna elettorale.Invece la sonora sconfitta della Sinistra l'Arcobaleno è stata in ogni regione, dal profondo Nord, alle regioni rosse, fino al sud clientelare.Siamo stati stritolati secondo me da tre condizioni: la nostra incapacità di esserci con una proposta credibile e nuova, la delusione per la nostra esperienza di governo che ha prodotto un serio astensionismo verso di noi, e terzo la martellante campagna del Partito democratico sul voto utile, che ci ha dissanguato del poco che restava, e che coglieva la voglia di semplificazione della proposta politica.Certo queste sono solo mie impressioni e sarà bene analizzare con maggiore cura ed analisi che cosa è successo, come è cambiato il mondo e le aspettative delle persone, come siamo diventati una società frammentata ed impaurita dal futuro, come sia potuto accadere che la risposta regressiva e demagogica sia stata quella più attraente per i cittadini e le cittadine italiane.Mi auguro che il confronto dentro i Verdi e nelle altre forze politiche che hanno dato vita alla sinistra arcobaleno sia serio e partecipato, con un processo largo e che nasca dai territori, che coinvolga la parte viva e critica che ancora esiste nel nostro Paese, e sia fatto anche di nuove elaborazioni e saperi.Invece sono preoccupata delle risposte lampanti quanto banali che in queste ore vengono avanti, sul fallimento del progetto e sul tornare ognuno a casa propria, in fretta, senza nemmeno salutarci. Dal 29 di aprile tornerà al Governo del Paese Silvio Berlusconi ed è una pesante sconfitta per i Verdi e gli ambientalisti italiani, anche di quelli che hanno scelto di stare nel PD: torneranno i progetti sbagliati, andrà avanti la scelta del nucleare, la cementificazione del territorio non conoscerà soste, gli inceneritori torneranno ad essere la soluzione al problema rifiuti.Noi dovremo tutti insieme organizzare una reazione, nuove elaborazioni e proposte alternative, una rete territoriale capillare e credibile di azioni locali, e dovremo mettere insieme energie e risorse. Sento c'è ancora bisogno del Verde in politica, ma solo se ammetteremo la nostra pesante sconfitta e se saremo in grado di elaborare una pagina nuova˝.

Anna Donati - candidata in Veneto al Senato

UN CROLLO INASPETTATO. «COSÌ LA DEMOCRAZIA SI È IMPOVERITA»

Solo in città la lista di Rifondazione, Pdci e Verdi ha superato il 2 per cento mentre due anni fa Rca da sola aveva ottenuto oltre il 5 al Senato. Valpiana: Parlamento senza comunisti e socialisti, prima volta. Fasoli: chi ci ha tradito per la Lega capirà l’errore

Il tramonto della Sinistra arcobaleno potrebbe presto trasformarsi in una nuova alba di speranza. Ci scommettono i dirigenti della nuova formazione politica a sinistra del Pd che due giorni fa ha portato a casa una percentuale che solo in città e per il Senato ha superato il 2 per cento. Per il resto tra Verona e provincia non si supera l’1 per cento con un tracollo che «va al di là delle più pessimistiche previsioni», ammette Tiziana Valpiana da Città del Capo in Sudafrica dove si trova in missione parlamentare insieme ad altre due colleghe. E aggiunge: «Il voto di domenica e lunedì preconizza un regime e si impoverisce la democrazia, amputata del nostro partito. Basta pensare che per la prima volta dal dopoguerra non ci sono più nè comunisti nè socialisti in Parlamento». Eppure non è che le ultime comunali siano state un viaggio di nozze. Allora Verdi e Rifondazione comunista arrivarono insieme al 2,9% e la porta di Palazzo Barbieri aprì una fessura sufficiente solo a far passare Graziano Perini, esponente del partito di Oliviero Diliberto, il Pdci. Si mastica amaro tra i dirigenti della Sinistra Arcobaleno ma non c’è rassegnazione anche perchè, spiega il segretario di Rifondazione comunista Fiorenzo Fasoli, «avevamo elaborato il lutto della sconfitta elettorale già un anno fa quando è stato eletto il sindaco Flavio Tosi». Quasi 365 giorni per pensare a quei consensi che non sono usciti dalle urne fino ad arrivare alle ricette da presentare subito agli elettori, prima di perdersi definitivamente nel labirinto della sconfitta irrecuperabile. Ed ecco la risposta: «La ricetta del centrodestra? Si rivelerà un bluff», dice sicuro Fasoli. Lo capirà, sostengono i dirigenti della sinistra radicale, chi ha tradito la sinistra per andarsi ad accasare nelle sicure fortezze della Lega al sicuro da clandestini, reati e povertà. Non ci sta Fasoli: «Il centrodestra», dice, «ha trasformato il conflitto tra classi sociali in una guerra tra poveri. Questa dinamica deve essere presto sconfitta». E così, sostiene il segretario provinciale, non si va da nessuna parte. «Non si può rispondere con la pancia come fa la Lega a problemi come quello della casa, degli immigrati o della precarietà» spiega Fasoli. Il pensiero poi si rivolge subito al futuro e non c’è tempo da perdere. «I rapporti con il Partito democratico? Ci aspettiamo la loro assunzione di responsabilità, è il partito di maggioranza relativa in città e ora deve indicare una proposta alternativa al centrodestra». Nel frattempo, stasera ci sarà la prima riunione dei vertici della Sinistra arcobaleno: «Valuteremo il risultato delle elezioni, decideremo le prossime mosse e prepararemo l’organizzazione della manifestazione del 25 aprile», afferma Fasoli. Un appuntamento importante al quale, rivela il consigliere comunale del Pdci Graziano Perini, «hanno già dato la loro adesione Margherita Hack, Giuliano Giuliani e il parlamentare uscente Nicola Tranfaglia». Il dirigente della Sinistra Arcobaleno traccia già la strada del «nuovo» partito. «A Verona», attacca Perini, «c’è una grossa questione ambientale a partire dal traforo per arrivare all’inquinamento. E su questi problemi che dobbiamo far sentire la voce dei cittadini e potremo riconquistare i loro voti».

Giampaolo Chavan – L’Arena

mercoledì 16 aprile 2008

BEPPE GRILLO ATTACCA VELTRONI: «HA RIESUMATO SILVIO, UNA SALMA POLITICA»

Voto, il day after sul blog: «Loro non molleranno mai, noi neppure». Il
comico genovese: «Il leader del Pd ha fatto cadere il governo: lui, non
Mastella».


MILANO - Non perde la sua vena polemica Beppe Grillo nel day after delle politiche 2008. Dalle colonne del suo blog il comico genovese fa un'analisi del voto e se la prende con il leader sconfitto. «Veltroni (alias Topo Gigio, per l'occasione Grillo rispolvera un vecchio personaggio, ndr) ha fatto il miracolo», scrive il comico. Quale? «Aver riesumato una salma politica». L'accusa di Grillo a Veltroni è di aver resusciato Berlusconi (il nome del suo personaggio è testa d'Asfalto, ndr).

«MIRACOLO» - «Era l'autunno del 2007 - scrive Grillo -. Testa d'Asfalto regalava la pasta a un centinaio di pensionati in periferia di Milano. Fini e Casini lo avevano abbandonato. Una vecchia gloria sul viale del tramonto. Topo Gigio ha fatto il miracolo. Il suo primo atto politico è stato di riesumare una salma politica». Il comico ricorda gli approcci tra i due leader e «la foto della stretta di mano tra i due dopo una conversazione strettamente privata sulla nuova legge elettorale». «Sembravano Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano - ironizza Grillo -. Lo psiconano aveva un'aria incredula. Non poteva immaginare che i pidini fossero così coglioni».

«VELTRONI IL MIGLIOR ALLEATO DEL PDL» - Nel governo di centrosinistra, sottolinea Grillo, Veltroni non si preoccupò di interpellare i piccoli partiti su una legge che li avrebbe fatti scomparire. «Topo Gigio - si legge sul blog del comico - è stato il miglior alleato del PDL. Ha fatto cadere il Governo: lui, non Mastella. Ha perso le elezioni in modo disastroso. Ha cancellato la sinistra e i verdi. Si può fare. Se fossi Berlusconi lo farei vice presidente del Consiglio».

LEGGE ELETTORALE - Grillo non perde occasione per ricordare che «la legge elettorale è incostituzionale». «Ci hanno trattati come bestie che possono fare solo una X su un simbolo. E la X l'abbiamo messa lo stesso perché siamo condizionati da mezzi di informazione anti democratici». «Senza libera informazione non c’è democrazia - conclude Grillo nel suo post -. Loro non molleranno mai, noi neppure».

www.corriere.it

martedì 15 aprile 2008

ELEZIONI, ORA CAMBIO DI ROTTA

Il ˝catastrofico˝ risultato della Sinistra Arcobaleno richiede ˝un
cambio di rotta visibile˝ e una riflessione ˝aperta e senza tabù˝
anche all'interno del Pd.

E' quanto sottolineano Monica Frassoni e Daniel Cohn Bendit, co-presidenti del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo, commentando il risultato elettorale.˝Come sette anni fa l'elettorato italiano si è lasciato ammaliare dalle sirene berlusconiane e dal 'celodurismo' di Bossi˝, rilevano i due eurodeputati, secondo i quale il cattivo risultato della Sinistra Arcobaleno non rende ˝meno urgente trovare una risposta alle sfide ambientali, alle crescenti ineguaglianze, all'insicurezza e alla sfiducia nella politica in Italia e altrove˝.

˝Ma si impone un cambio di rotta visibile e un passo indietro di quanti hanno avuto responsabilità dirette nella gestione della campagna elettorale e nei suoi risultati˝, sottolineano Frassoni e Cohn Bendit, i quale osservano che˝questa situazione richiede umiltà, riflessione e ascolto da parte di tutte e tutti per recuperare credibilità agli occhi di coloro che ce l'hanno negata e per prepararci, insieme alle forze migliori della società italiana al cambio di vento che inizierà a soffiare non appena il nuovo governo dimostrerà la propria inadeguatezza˝ .

No quindi a ˝ritocchi cosmetici˝: ˝se non avremo il coraggio di cambiare profondamente coinvolgendo pienamente le associazioni ambientaliste, la società civile che lotta contro la criminalità organizzata, le Ong che fanno della solidarietà la propria bussola, l'economia che innova e tutte le esperienze che ci vengono invidiate nel mondo, saremo condannati ad anni di irrilevanza˝, concludono i due esponenti dei Verdi.

LA SINISTRA - L'ANTAGONISMO EX PARLAMENTARE

Probabilmente siamo davanti al più brutale processo di razionalizzazione politica che si sia mai visto in Italia. Sparisce dal Parlamento un cartello elettorale, la Sinistra Arcobaleno, che riuniva partiti capaci in astratto, ma anche per storia politica alle spalle, di superare il dieci per cento. La sinistra anticapitalista si trova ai margini della politica, fuori dal gioco, esclusa dal circuito istituzionale. È di nuovo una sinistra extraparlamentare. Il suo simbolo oggi potrebbe essere proprio il suo candidato premier, Fausto Bertinotti: il presidente della Camera uscente che non riesce a rientrare nell'assemblea rappresentativa. La realtà complessiva è che finiscono in fuorigioco la vecchia Rifondazione comunista, i Verdi, i Comunisti italiani e quella frazione ex diessina che non aveva accettato la confluenza nel Partito democratico.

È questo uno dei risultati della rivoluzione copernicana di Walter Veltroni, che ha rovesciato lo schema politico precedente, quello di Romano Prodi e di Arturo Parisi: ai quali si doveva la convinzione per cui la sinistra ˝antagonista˝ doveva essere inclusa nel perimetro dell'alleanza necessaria per battere la destra; mentre toccava poi a ministri come Tommaso Padoa-Schioppa il compito di insegnare la ˝triste scienza˝ agli utopisti e agli oltranzisti, ai no global e agli anticapitalisti. Tuttavia il contributo alla governabilità non esauriva la funzione che la sinistra radicale pensava di essere chiamata a realizzare. Fare la portatrice d'acqua per il governo tecnocratico del centrosinistra non era così soddisfacente. Gli anticapitalisti al servizio del risanamento del deficit e a favore del taglio del cuneo per la Confindustria: una cosa bizzarra. Insopportabile per l'acuta consapevolezza sociale di molti esponenti della sinistra radicale, per la loro nitida percezione delle nuove conflittualità, per un senso critico vivificato dal coinvolgimento personale, per il pacifismo e quindi per l'incapacità di subire troppo a lungo compromessi in economia e sull'orizzonte della politica internazionale. Tutto questo, cioè l'asimmetria delle intenzioni rispetto ai risultati, venne sintetizzato infine nel gusto dissacratorio e politicamente irridente di Bertinotti: che con le battute su Prodi come Vincenzo Cardarelli, ˝il più grande poeta morente˝, fece risuonare le campane a morto per il governo dell'Unione ben prima della disastrosa defezione di Clemente Mastella e Lamberto Dini.

Veltroni ha messo allo scoperto la fragilità di questa sinistra. L'ha costretta a porsi il problema della sua rappresentatività, e della qualità del suo programma politico, non tanto fra i velluti delle aule parlamentari e con le obiezioni di coscienza, bensì nel gioco crudele dell'arena elettorale. Nessuno, per la verità, pensava che fosse possibile la liquidazione totale di un'esperienza come quella di Rifondazione; e si pensava che nell'alveo della sinistra contestativa avrebbero trovato spazio e ruolo le nicchie ambientaliste governate da Pecoraro Scanio come gli irrigidimenti postcomunisti di Oliviero Diliberto e i maldipancia dei diessini dissenzienti guidati da Fabio Mussi e Cesare Salvi.

Invece è scattata una specie di trappola elettorale, spaventosa negli effetti ma piuttosto tipica per l'estremismo politico di sinistra. Quando è il momento meno opportuno, che si tratti della scissione di Livorno o della scomparsa dello Psiup, a sinistra non si conoscono mezze misure. O catastrofe, o niente. L'Arcobaleno ha pagato la scarsa visibilità delle sue proposte, in parte dovute al concentrarsi dei media sul duello fra Pd e Pdl, e in parte legate alla varietà volatile dei suoi programmi politici. La nuova sinistra voluta da Bertinotti, finalmente slegata dalle sue eredità comuniste, doveva diventare una forza moderna trasversale, connessa ai temi di fondo della globalizzazione, alle inquietudini sull'˝impronta ambientale˝ dello sviluppo, e al recupero di ispirazioni socialiste reinterpretate alla maniera della Linke tedesca. Messi nello shaker questi ingredienti, ne è venuta fuori una miscela in cui le identità sono evaporate, la falce e martello si è dissolta, le culture non si sono amalgamate se non in un composto di radicalismi vari.

Vale a dire: mentre Veltroni tentava un'iniziativa davvero egemonica (e spesso denunciata come tale dalla sinistra radicale), tutta proiettata a definire il profilo di una sinistra di governo, la Sinistra arcobaleno si è trovata in una impasse drammatica. Era finita la rendita dei partiti in grado di raccogliere voti estremisti e di renderli comunque ˝utili˝ all'interno di un'alleanza estesa e anche condizionabile. E in una situazione come questa sono stati gli elettori a risolvere i problemi impossibili della sinistra antagonista: qualcuno si è fatto convincere dall'appello implicito al ˝voto utile˝ al Pd come bastione contro la macchina berlusconiana; altri hanno trovato sfogo antipolitico nel partito di Di Pietro e perfino nel populismo radicaleggiante della Lega; e mentre qualcuno dei nostalgici della falce e martello ha trovato rifugio nel simbolo di Sinistra critica dell'eretico Turigliatto, molti altri, a quanto si capisce, come i redattori del manifesto, devono avere sciolto il dilemma rifugiandosi nell'astensione.

Ma andrà detto che il ripiegamento fuori dalla politica, in una sinistra ideale e non empirica, lascia il campo privo di una rappresentanza istituzionale per una parte di società dispersa ma ancora consistente. Ora, Bertinotti annuncia l'addio. Gli altri parlano di anno zero, di costituenti, di un nuovo inizio. Comunque sia, ogni costituente è buona se si pone il problema di come ci si connette al problema del governo. L'idea che fosse possibile il giardinetto dei radicalismi è stata sfigurata dalla violenza della realtà. Per chi ha sempre amato parlare delle ragioni ˝oggettive˝, dei ˝rapporti di forza˝, della ˝struttura˝, è giunto il momento di fare i conti fino in fondo con la realtà, e non con il labirinto delle illusioni.

Edmondo Berselli

http://www.repubblica.it/

ADDIO LISTA ARCOBALENO. E BERTINOTTI LASCIA

La notte terribile della gauche italiana. E gli operai fanno festa con la Lega.


A Valdagno il Carroccio batte la Sinistra Arcobaleno 30a 2,1. Bossi: «La Lega
l’hanno votata i lavoratori»


«Cercate l’orso bruno ˝JJ3˝», aveva ordinato l’altro ieri Alfonso Pecoraro Scanio. Ciò detto, spiegava un comunicato, il ministro dell’Ambiente aveva «aperto tavoli di confronto con alcuni Paesi dell’Arco alpino» chiedendo preoccupato dove fosse finito lo Yoghi sparito dal parco dell’Adamello. Da ieri, però, ha altri problemi per la testa: con l’orso è sparita la sinistra radicale. Comunista e verde. Almeno dal Parlamento. Non un rappresentante al Senato, non uno alla Camera. O almeno così pareva ormai certo mentre calava la notte più straziante, tormentata e insonne che la «gauche» italiana abbia mai vissuto. Una notte resa ancora più cupa, agli occhi dei protagonisti attoniti del mondo arcobaleno, dal trionfo di Silvio Berlusconi, dal dilagare della Lega e da quella rivendicazione del segretario del Carroccio Umberto Bossi che non ammetteva repliche: «La Lega l’hanno votata i lavoratori». Pausa. Rilancio: «I lavoratori non votano più la sinistra: è la Lega il partito nuovo dei lavoratori».

Hai voglia, adesso, ad alzare il sopracciglio ridacchiando. A fare spallucce. A buttarla sul ridere. Perché i dati che emergono questo dicono. Basta prendere la provincia di Vicenza. Provincia industriale. Metalmeccanica. Manifatturiera. Provincia bianca. Per decenni democristiana. Mariana e bisagliana, cioè fedele a Mariano Rumor e Toni Bisaglia. Obbediente a Monsignor Carlo Zinato, il vescovo che Camilla Cederna chiamava «La Wandissima» per come voleva essere sempre al centro di tutto. Bene: anche a quei tempi la sinistra aveva sempre tenuto in alcune roccaforti. Sempre. I dati di ieri sono nettissimi. E dovrebbero rappresentare per Fausto Bertinotti, che si insediò alla presidenza della Camera dedicando il suo trionfo «alle operaie e agli operai», una spina nel cuore. La Lega straccia la Sinistra Arcobaleno a Valdagno (Valdagno: dove quarant’anni fa i ribelli tirarono giù la statua di Gaetano Marzotto) 30 a 2,1%, la distrugge a Schio (la Schio della Lanerossi) 25 a 2,6%, la polverizza ad Arzignano (dove pure c’è un sindaco di centrosinistra) 37 a 1,5 e la annienta in due paesi storicamente strapieni di Cipputi come Chiampo (41 contro 0,9) e San Pietro Mussolino, dove una popolazione in larga parte composta da tute blu e dalle loro famiglie consegna al Senatur uno stratosferico 49,8 per cento e a quella che forse un po' presuntuosamente si era autodefinita «l’unica sinistra», un umiliante 0,6.

Certo, Bertinotti e Pecoraro e Diliberto, potrebbero cercare qua e là per l’Italia qualche motivo di incoraggiamento. Del resto la storia ci ha consegnato esempi formidabili di sconfitte disastrose spacciate per flessioni. Immortale, ad esempio, resta il caso del democristiano Vito Napoli che, sotto le macerie fumanti del crollo della Democrazia Cristiana nelle disastrose «comunali» del 1993 disse: «Abbiamo perso Roma, Milano, Napoli, Venezia, Palermo... Ma ci sono anche segnali incoraggianti. Penso ai successi di Gerace, Pizzo Calabro, Praia a mare...». Né si può dimenticare il buttiglioniano Maurizio Ronconi dopo una batosta generalizzata al Cdu: «Gli elettori riconsegnano Valfabbrica al Polo, nonostante la presenza di una lista di disturbo. E con Valfabbrica sono nostre anche Parrano e Attigliano... ». Mai, però, si era vista sparire così di colpo, come fosse stata inghiottita da un abisso, un’intera area. Basti dire che soltanto due anni fa Rifondazione Comunista aveva preso il 5,8 per cento, i Comunisti Italiani il 2,3, i Verdi il due abbondante. Per un totale del 10,2 per cento. Per non dire delle elezioni europee del 2004, quando insieme arrivarono a passare l’undici. Di più: non c’era discorso, dibattito, confronto in cui l’uno o l’altro, nella scia delle grandi adunate di piazza antiberlusconiane, non rivendicassero i sondaggi che li davano, tutti insieme, intorno al tredici per cento.

Solo una manciata di mesi fa, nella fase più dura di tensioni sulla Finanziaria dentro quella che allora era la maggioranza, Fabio Mussi minacciava: «Siamo una forza imponente, quindi se non si prestasse orecchio alle nostre proposte si farebbe un errore grave, molto grave». «L’8,7% ottenuto dalla sinistra unita in Germania sarebbe per voi una vittoria o una sconfitta?», chiesero qualche settimana fa al sub-comandante Fausto. E lui: «Siamo uomini di grande ambizione, mai porre limiti alla provvidenza rossa». Erano cinque, i partiti, partitini e micro-partitini, che si presentavano alle elezioni sventolando ancora (nonostante lo stesso Bertinotti avesse spiegato che dentro l'alleanza il comunismo sarebbe stato «una corrente culturale») la bandiera con la falce e il martello. E non uno è stato preso sul serio dagli elettori. E il risultato è una svolta inimmaginabile. Per la prima volta nella storia, dopo la fine della dittatura fascista, il Parlamento italiano non avrà tra i suoi banchi, dove anche la nascita della Costituzione venne salutata da un gruppo di camicie rosse, un solo «rosso». «E' una sconfitta netta dalle proporzioni nette e questo la rende più acuta», ha spiegato l’anziano leader annunciando che il suo ruolo «termina qui».

Neanche il tempo che le prospettive più fosche si concretizzassero e già a sinistra si aprivano come scontato le liti, gli sberleffi, gli insulti, i conati di veleno, i processi ai colpevoli. Certo, niente a che vedere con le purghe di un tempo, quando Antonio Roasio schedava i compagni rifugiatisi in Russia per scoprire se meritavano di farsi un giretto nel carcere Taganka o con la «kista », l'autocritica dei propri errori che veniva chiesta alla scuola quadri delle Frattocchie per fortificare lo spirito comunista. Ma il processo sarà lungo, tormentato, duro. Perché ha perso dappertutto, questa sinistra rancorosa e sognatrice, pacifista e bellicosa che in questi anni ha detto no alla Tav e no all’eolico, no alle missioni di pace e no alla riforma delle pensioni e no a tutto o quasi tutto. E si ritrova sgominata a Taranto (dove soltanto un anno fa aveva incredibilmente vinto le «comunali» dopo un crollo del 46% delle destre ieri risorte) e in tutta la Puglia che le aveva regalato il trionfo di Vendola, in Sicilia dove candidava Rita Borsellino, in Campania dove è finita sotto le macerie del bassolinismo a dispetto delle battaglie contro gli inceneritori e in Piemonte a dispetto dell'opposizione all'Alta Velocità in Val di Susa. E sullo sfondo, mentre loro malinconicamente ripiegano le bandiere, sorride il Cavaliere trionfante e sorride Gianfranco Fini e sorride soprattutto lui, Umberto Bossi. Tra operai in festa ai quali la sinistra non riesce più a parlare.

Gian Antonio Stella
www.corriere.it

sabato 12 aprile 2008

ECCO DOVE IL VOTO DISGIUNTO PUÒ CAPOVOLGERE IL RISULTATO

Silvio Berlusconi insiste: gli elettori di Udc e Destra votino il Pdl al Senato. Quella di Palazzo Madama è la partita decisi va e il Cavaliere sa che lo spostamento di poche migliala di voti può capovolgere il risultato finale. Il voto disgiunto è l'altra faccia del "voto utile". E all'appello di Berlusconi si oppone, ormai da diversi giorni, un tam tam nel centrosinistra per sfruttare al meglio le regole del Porcellum e tentare di sottrarre a Berlusconi i seggi decisivi in alcune regioni. A differenza dell'appello del leader Pdl, il contro-appello è più articolato. Si insinua nelle pieghe della legge. E cambia indicazione di voto di regione in regione. Per questo è meno immediato, ma potenzialmente può essere più efficace. Anche se Walter Veltroni, in realtà, non ha mai assecondato la filosofia del "voto disgiunto". Anzi, al loft la contrastano. Gli elettori però restano liberi. E il movimento di pochi può pesare tantissimo.


La regola di Berlusconi. Sin dall'inizio della campagna elettorale, il Cavaliere ha sostenuto che il solo voto utile nel centrodestra fosse quello al Pdl. Berlusconi è convinto di avere la vittoria in pugno. Ma gli studi e le simulazioni gli hanno dimostrato che, anche con due milioni di voti di vantaggio sul Pd, potrebbe vedersi sfuggire la maggioranza in Senato. Basterebbe qualche sconfitta in regioni in bilico come Lazio, Abruzzo, Marche, Liguria, Calabria. Oppure la crescita di Centro e Sinistra arcobaleno fino a raggiungere diversi quorum (8%) regionali. Se Udc e Sinistra supereranno complessivamente i 20 seggi, la chances di Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi si ridurranno drasticamente. Da qui l'appello al voto disgiunto: votate pure per Udc e Destra alla Camera, ma non al Senato. La Destra, in particolare, può dare molto fastidio al Pdl nelle competizioni di Lazio e Abruzzo.


Le Regioni «rosse»- II passa parola del voto disgiunto nel centrosinistra è partito dall'Emilia. Dove il pronostico è favorevole al Pd. Secondo il Porcellum la coalizione che ottiene anche soltanto un voto in più, incassa il premio regionale: 12 seggi in Emilia. Egli sconfitti si dividono i senatori restanti. Da qui l'idea di diversificare le preferenze: votando Pd alla Camera e Sinistra arcobaleno al Senato, qualche migliaio di elettori può spingere il partito di Berti-notti oltre il quorum. In questo caso, Sa sottrarrebbe due seggi direttamente al Pdl. Lo schema può ripetersi in Toscana e Umbria (dove peraltro storicamente la sinistra radicai vanta maggiori consensi). E anche in Basilicata, considerata un'altra delle regioni «sicure» del Pd: stavolta però l'elettore Pd dovrebbe favorire al Senato l'Udc (sulla carta più vicina al quorum). I partiti intermedi in queste quattro regioni possono togliere al Pdl 6 seggi.


Nel regno del Pdl. Il voto disgiunto, per gli elettori del Pd che vogliono impedire il governo Berlusconi, può applicarsi anche nelle regioni dove il vantaggio di Pdl e Lega è ampio: Lombardia e Veneto. Sono le regioni dove Berlusconi spera di andare oltre la soglia del premio (55% dei seggi). Per ottenere il risultato al Cavaliere basta che superino 1'8% solo Pdl e Pd. Di contro, il voto disgiunto degli elettori Pd deve puntare alla conquista del quorum di almeno una delle forze intermedie. Aiutando la Sinistra al Senato in Lombardia, gli elettori «marginali» democratici possono sottrarre tré seggi al Pdl. In Veneto, però, è l'Udc più vicina al quorum: il voto disgiunto dovrebbe prevedere uno splitting al Senato a vantaggio dei centristi (in palio due seggi).


La Sinistra può ricambiare. È possibile anche un voto disgiunto in senso inverso: Sinistra alla Camera, Pd al Senato. Potrebbero attuarlo gli elettori di Bertinotti nelle regioni in bilico tra Pdl e Pd. Soprattutto laddove la Sinistra è sulla carta più lontana dal quorum. In ballo ci sono i seggi del premio. In Abruzzo, Calabria, Marche, Sardegna sarà difficile per Sa conquistare senatori. L'aiuto al Pd in Senato potrebbe valere invece 6 seggi in queste regioni. Poi ci sono le sfide apertissime di Lazio e Liguria. Dove però il voto disgiunto è più rischioso. È vero che la partita nel Lazio può diventare decisiva per il Pd ( 15 seggi a chi vince, 12 a chi perde). Ma, se Sa o Centro dovessero ottenere 1'8%, farebbero propri due senatori assestando un ulteriore colpo al secondo arrivato. E nel Lazio nessuno intende darsi per sconfitto.